Ecco che piove, infine.
Forse ci farà bene.
Intanto, qua fuori,
il tavolo deserto
offre il suo grembo
al pianto del cielo.
Nudità del dolore,
grande silenzio
di cani, passeri
e poveri umani.
Lontano, col vento
l’urlo grigio del mare…
Ecco che piove, infine.
Forse ci farà bene.
Intanto, qua fuori,
il tavolo deserto
offre il suo grembo
al pianto del cielo.
Nudità del dolore,
grande silenzio
di cani, passeri
e poveri umani.
Lontano, col vento
l’urlo grigio del mare…
Quando, quanto?
E chi lo sa.
Quantità temporali
qualità spaziali
tentativi risibili
di misurare
l’eternità.
Pochezza immensa
del tempo che resta
e l’immagine impressa
nella mia testa
di una donna
assai vecchia
che culla in grembo
l’urna della figlia
e si chiede perché.
Strazio da inceneritore
inutili le ore…
Smurata la tomba,
ì fornici apocalittici
ingoiano il vaso.
Comincia o finisce?
E chi lo sa.
E fuori c’era vento
e fuori c’era il mare
pietrificava vita
la gelida panchina…
Alzarsi una scoperta,
col rischio di finire,
la sabbia fustigando
e levigando a morte
la tiepida scultura
di un’indifesa sorte.
I giorni spesi tutti
correndo sulla riva,
respiro nel respiro
dell’aria furibonda,
del sapido suo sale.
Non una brutta morte
sparire per usura,
le piccole vestigia
tornate al grembo amaro
di onda contro onda,
nascendo vita ancora.
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