Mi ricordo giganti di sassi,
una terribile arsura,
nessuna gioia la meta
e un brutto ritorno a fatica.
Tutto ebbe inizio quel giorno,
da là io continuo a cadere
verso il fondo del tristo finire.
Mi ricordo giganti di sassi,
una terribile arsura,
nessuna gioia la meta
e un brutto ritorno a fatica.
Tutto ebbe inizio quel giorno,
da là io continuo a cadere
verso il fondo del tristo finire.
Clamoroso, mi sto rompendo!
Sento quel bang nel cuore,
poi non mi muovo più per ore.
Sono un guerriero finito,
con una spada nel fianco,
non vedo né pace né gioia,
né, tantomeno, ritorno.
I miei alleati più fidi,
guerriglieri giorno per giorno,
cioè i miei desideri,
anche quelli cretini,
sono stati glassati
da mix micidiali di statine
e voracemente inalati
da ossigenazioni forzate.
Così ora respiro e non vivo,
con un albatros morto
che mi pende dal collo
e questo è quanto.
Quando manca mezz’ora
alla fine del viaggio
penso alla vita,
alla scatola chiusa
che contiene il futuro:
Ogni volta che l’apri
poi rimani deluso,
se non l’apri non vivi,
ma continui a sognare.
Niente mai fu più bello
di quei sassi di vetro
che, quand’ero bambina,
io trovavo sul mare.
Quelli e qualche conchiglia
io vorrei ritrovare,
la mia gioia promessa,
non la sabbia ed il sale…
Ancora una volta è finta
la pausa dalla vita.
O è finita la vita,
fino a venerdì sera,
quando lavi in silenzio
la tua anima nera
e riscopri la gioia
di goderti la noia?
Non asseconderò
il tuo asservimento alla morte.
Lo so che provi dolore,
che non è colpa tua,
che la paura ti plagia
e di distrugge la gioia
nell’ infinita attesa
di una fine che non pare
così pronta ad arrivare.
Povero tesoro
che ti mesci il veleno
da solo! Ascolta:
Una volta conobbi
un bambino malato
d’autismo, con il braccio
che pareva uno straccio…
Volevo salutarlo,
stabilire un contatto…
Ecco, tu che ancora puoi,
afferrala, questa mia mano
che allora tesi invano!
Ancora una volta
esplode il sole.
Cola il soffitto
del corridoio,
muore il suo grigio
in questo tramonto.
Luce furtiva
che dura un secondo,
grande la gioia
per questo mio istante,
dove la gloria
si rappresenta.
Quando passi dalle mie parti,
porta una cesta come il giovane Bacco,
mele, fichi, uva e melagrana,
orna i capelli con la tua giovinezza
intreccia ai pampini raggi di sole,
inebria le gote di un dolce rossore
e reca il vino per scaldarmi le ossa.
Per me è già dicembre, caro ragazzo,
la fine dell’anno bussa alla porta,
per te, le tue risa e i tuoi neri capelli
è piena estate e il luglio promette
l’amore e le messi e mazzi di fiori.
Portami in dono quella canestra,
così che mi giunga un’eco di gioia,
spartisci con me il tuo calice ebbro
che già nella mano incerto ti trema
così che io trovi nel limo del fondo
almeno il ricordo della mia gran bellezza.
Lasciammo entrare la gioia
dalle finestre spalancate al sole
e mutammo costumi e aspetto
sfarfallando all’improvviso
nonostante lo stupore
che in noi stessi provocava
essere così diversi e praticare
altri spazi, altri tempi…
E ci fu più posto dentro il cuore,
da farci entrare proprio tutto,
persino per un piccolo cane….
E non l’avrei mai detto, caro Giulio!
Straziata a lungo,
direi cardata,
da punte a uncino
di molti dolori,
come nei cardi
dei lanaioli,
sono più bella
di una sirena…
Almeno i capelli
sono sgarzati
e insieme a loro
tutti i pensieri…
Ma mi esce la gioia
senza ragione
da un buco nel cuore,
un’ emorragia
di compensazione
per quest’ultime ore
che furono lievi
e mi si trasfonde
un gelo nel sangue,
è solo paura
o premonizione?
Come baccanti di talento,
lasciamoci andare alla gioia,
i motivi per farlo ci sono,
è già giorno, il sole è risorto,
la vita ci pulsa alle vene
e il vento ci gonfia le chiome.
Non siamo antenne del fato,
il futuro ancora non c’è,
distendi al sorriso le rughe,
hai ancora tanti capelli,
sono ricci, son folti, son belli,
a memoria di un tempo che fu…
I tuoi baci mi piacciono sempre
e in fondo mi piaci anche tu.
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