Acuzie di roccia,
taglio di ghiaccio,
graffi del tempo
e delle burrasche,
soffia la vita
tempeste di vento,
molto più a nord
di quel che sognasti…
La pietà della bruma
come unico velo.
Acuzie di roccia,
taglio di ghiaccio,
graffi del tempo
e delle burrasche,
soffia la vita
tempeste di vento,
molto più a nord
di quel che sognasti…
La pietà della bruma
come unico velo.
Come sono tristi
le lune di dicembre,
con le maree
gelate dentro il mare
e tu che non ricordi
quando l’estate scorsa,
or fa trecento anni,
già mi chiamavi amore!
Quando la spiaggia accolse
la frenesia dei corpi
nel dirsi tutto quello
che non fu detto mai
e ora il letto è sfatto
e tu che non ritorni,
le corna di Selene
che piangono per noi
e tutti gli astri intorno
in brividi di ghiaccio
e il canto delle stelle,
da gole di glasspiel,
che sparge suoni d’oro,
ma freddi come lame
di spade dentro il cuore…
Quando sognavo l’Islanda,
ispirata dal ghiaccio e dal fuoco,
ero soprano e usignolo
ricamando spartiti di note
così alte da far sanguinare
i più puri, rompendogli il cuore,
morire felici, rinascere ancora…
Ma ora, che il nulla ci incalza,
oscurando ogni giorno il futuro,
ora, che Dio c’è lontano,
e la mente fatica a adorarlo
e a crederlo il buono fra i buoni,
or che il ruscello è palude
e marciscono fiori di neve
sotto i passi incerti, smarriti
di un primavera di tisi,
ora che le messi future,
abbattute a colpi di falce
reclinano i capi delusi,
lontani da padre e da madre,
rapinati di ciò che era certo,
giovinezza, vita, bellezza,
senza conoscere amore
e papaveri e risa e l’estate,
ora non canto, non spero, non rido,
soltanto aspetto e sospiro.
Oh, com’è lontana l’Islanda,
com’è lontano il bel canto,
or che non posso sognare!
Mi ricordo la Befana.
Abitava a Torino
Amava i cieli grigi
e il greve respirare
dei camini.
Si vestiva nella notte,
per questo non appaiava
i suoi calzini
e non li rammendava.
Non si pettinava.
Quell’anno a Natale
era andata molto male
ed avevo saputo
che Gesù Bambino
non sarebbe più tornato
per via del tutù azzurro
che volevo per ballare.
Lui mi portò la stoffa
e alla mia cara mamma
solo il tempo per cucire.
E venne l’Epifania
che tutte le feste
la porta via
(me lo disse mio padre.)
Così dal cortile,
nel freddo da paura
del mattino
e l’ossessione
di quei muri gialli
delle case popolari,
guardai il cielo di latta
con le nuvole appese
e le strisce di ghiaccio
pattinate dal gelo
e la sorpresi a volare,
sulla scopa sbilenca,
districando una strada
fra i rami nudi dei viali .
Fu un’epifania,
come spiegava la nonna,
che se ne intendeva
di chiesa e di parole,
e lo capii anch’io.
E mentre salutavo
e la indicavo a mia sorella
sparì dietro a una casa.
II sole dell’inverno,
intanto, lacrimava…
Qualcosa di straniero
in me, nella mia bocca,
me lo dicono tutti, qui,
manco fossi in esilio.
E lo sguardo lontano,
come il tuo, madre cara,
col suo azzurro severo,
però molto più caldo,
coi riflesso del mare,
che ci mise mio padre
fino a che non fu verde
e con l’oro del sole.
Di qui non mi piace
l’indolenza scherzosa
e l’attesa di un giorno
in cui tutto migliori.
Noi, ragazze di ghiaccio,
occhi assenti per gli altri,
molto oltre a guardare,
gli mettiamo paura
anche senza parlare.
…Io, se potessi,
non sarei l’acqua
che scivola via
e nemmeno la trota
così lontana
dai quieti natali
di qualche pescaia…
Io sarei l’ombra,
la fronda pensosa
di ogni memoria
e porterei in seno
ogni ghiaccio, ogni onda,
ogni sasso, ogni passo,
ogni tiepido masso
alla valle sublime
del tempo mio estremo.
Ma come mai
mi s’invischia il corpo
nella pania
di nuovi dolori
e nell’estate
nemmeno sbocciata
scaglia il cielo
sassaiole di ghiaccio
prendendo di mira
quel che resta
del cuore?
Del mio armageddon
sono piccole prove…
Oggi non indosserò
la primavera,
proprio
non me la sento.
Il cielo urla
parole di ghiaccio
e lega l’anima
con fili di brina.
Un cappotto pesante
è quello che metto,
dalle tasche bucate
ho perduto i ricordi,
la lana dei giorni,
le tarme del tempo…
Manto azzurro
invernale
denso liquefatto
un po’ nube
un po’ ghiaccio
un po’ latte,
sulle spalle
del tempo
a coprire
i miei giorni
così uguali
da quando
un altro mantello
pesante,
un tabarro,
mi avvolge,
il senso di morte
che incombe.
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