Braccia ospedaliere
si dibattono
con i loro strani fiori
peduncolati in cannule
ovari i di coaguli
epidermici plissè
di petali. E musica
di flebo trombolitica
festini di prelievi
per orge fra cadaveri
in albe un po’ drammatiche…
Braccia ospedaliere
si dibattono
con i loro strani fiori
peduncolati in cannule
ovari i di coaguli
epidermici plissè
di petali. E musica
di flebo trombolitica
festini di prelievi
per orge fra cadaveri
in albe un po’ drammatiche…
Escherianamente estenuata
dalle false prospettive
delle scale e delle loro ombre
che divorano la meta. Non s’arriva,
non si torna, non si sale,
non si scende. Fatica per niente.
E non sarebbe niente
se, dopo aver lasciato
nella casa poco amata
tutti gli orologi che avevo,
anche la vecchia pendola,
almeno si fosse fermato il tempo,
che batte ancora col suo morto cuore,
spaventosamente.
Seppelliti i cadaveri dei ricordi,
uccisi i mobili del primo novecento
e i loro tarli, senza mai più bandire
lo sfrontato sole, salendo al piano
quarto della casa nuova
con un bell’ascensore,
mi porto il buio e quelle rampe
dentro. Non salgo, non scendo
e in questo doloroso passatempo
spreco infinitamente il tempo.
Oggi lo sento nell’aria
questo novembre di ossa,
fradicio triste colloso,
striscia sui tetti di pioggia.
Cadaveri vani di canto
sfogano i mesti gabbiani
rincorsi dal rude maestrale,
traditori immondi del mare.
Quanto lontana è l’estate!
Quasi non provo rimpianto.
Sai, mi succede ogni giorno
di non volere più niente
indietro dall’avido tempo.
Intanto sbiadiscono in cielo
le ultime stelle al mattino,
io sono svegli dall’alba
e con i miei morti in ritardo
mi giro la casa in silenzio
spazzando i fasti di ieri
con questa coperta di lana
che mi riscalda le spalle,
strappata ad un letto di sogni
che ormai chissà dove vanno.
Commenti recenti