Trafigge il sole
l’immutata bellezza
del lago che tu sai.
Aghi di sole il giorno
e di notte la luna.
E polveri di stelle
cadranno sulle onde
a scalfire di noi
piccole memorie
dell’essere stati là.
Trafigge il sole
l’immutata bellezza
del lago che tu sai.
Aghi di sole il giorno
e di notte la luna.
E polveri di stelle
cadranno sulle onde
a scalfire di noi
piccole memorie
dell’essere stati là.
Quando sto male
io lo guardo e mi dico:
“Sarà ora di cambiare!”
Or è vent’anni
e sembra ieri…
Il mio avatar
è un fortunato scatto
in pieno controluce
ed è il ritratto vero
di un’ostinata grazia,
il permanere in me
di una bellezza
che non temeva gli anni.
Oh quanto fu vero!
Era la mia anima scura
di poeta con la piega amara
e le farfalle dentro il cuore
e nei piedi la voglia
disillusa di danzare.
Ora che, appesantita
(sempre più bianca
la mia faccia di luna,
gli occhi ancora belli,
ma col tramonto impresso
come un velo di bruma)
somiglio a una falena
polverosa, il mio volo
sfarinato fa rumore…
Quando straparlavo
della bellezza del cielo
e sempre immaginavo
baie d’oro e lidi rosa
e bagni dell’aurora
in quell’etereo mare
che il regno degli dei
cinge e lambisce,
io ancora speravo.
La morte assai lontana,
allora, e grande l’illusione
che la bellezza riscattasse
la caducità dell’uomo.
Ora che ho più paura
venderei i miei albori
per un anno di vita solo.
Quando sognavo l’Islanda,
ispirata dal ghiaccio e dal fuoco,
ero soprano e usignolo
ricamando spartiti di note
così alte da far sanguinare
i più puri, rompendogli il cuore,
morire felici, rinascere ancora…
Ma ora, che il nulla ci incalza,
oscurando ogni giorno il futuro,
ora, che Dio c’è lontano,
e la mente fatica a adorarlo
e a crederlo il buono fra i buoni,
or che il ruscello è palude
e marciscono fiori di neve
sotto i passi incerti, smarriti
di un primavera di tisi,
ora che le messi future,
abbattute a colpi di falce
reclinano i capi delusi,
lontani da padre e da madre,
rapinati di ciò che era certo,
giovinezza, vita, bellezza,
senza conoscere amore
e papaveri e risa e l’estate,
ora non canto, non spero, non rido,
soltanto aspetto e sospiro.
Oh, com’è lontana l’Islanda,
com’è lontano il bel canto,
or che non posso sognare!
Quando passi dalle mie parti,
porta una cesta come il giovane Bacco,
mele, fichi, uva e melagrana,
orna i capelli con la tua giovinezza
intreccia ai pampini raggi di sole,
inebria le gote di un dolce rossore
e reca il vino per scaldarmi le ossa.
Per me è già dicembre, caro ragazzo,
la fine dell’anno bussa alla porta,
per te, le tue risa e i tuoi neri capelli
è piena estate e il luglio promette
l’amore e le messi e mazzi di fiori.
Portami in dono quella canestra,
così che mi giunga un’eco di gioia,
spartisci con me il tuo calice ebbro
che già nella mano incerto ti trema
così che io trovi nel limo del fondo
almeno il ricordo della mia gran bellezza.
Il cielo era così blu
che la bellezza malata
della città risplendeva.
Sparse collane di stelle
le luci, il lampione più alto
una luna e io, ombra grigia,
strisciante attraverso, ferita,
con l’anima mia barbona
vestita di stracci, intirizzita.
Un giorno la bellezza
diventa cinerina,
reclina il capo e muore.
A me succede adesso,
come a una rosa…
Raccogli i miei petali sfatti
nelle tue mani, con amore!
Com’è bella la bellezza!
Non per quanto splende,
ma per l’embrione
di gemma che la precede,
per il misterioso respiro
del suo frattale musicale,
per la mente universo
che tutta la contiene…
Come il profilo della luna,
con quel suo naso aguzzo
e il mento arcigno,
eppure più la guardi
e più si svela
come la bella donna
che ci veglierà
nella sua bellezza piena,
così io da sempre aspetto
quelle notti di luce chiara
e serena, che a molti piace
chiamare pace…
Dai, andiamo a Venezia
io e te da soli. Ti ricordi?
Saziarci d’ali di piccioni,
io che ridevo, ma morivo, intanto,
di paura. E poi sgranare gli occhi,
tanto era l’incanto della laguna.
Un’emozione così grande
la bellezza, per il piccolo cuore,
che ti stringevo la mano,
per aver consolazione.
Stanotte ti ho sognato
e stavi molto male, babbo,
non l’ombra di un sorriso
sul tuo ultimo volto da ospedale.
Dai, facciamolo tornare,
il tuo sorriso,
vediamoci a Venezia,
quando vuoi andare…
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