
Escherianamente estenuata
dalle false prospettive
delle scale e delle loro ombre
che divorano la meta. Non s’arriva,
non si torna, non si sale,
non si scende. Fatica per niente.
E non sarebbe niente
se, dopo aver lasciato
nella casa poco amata
tutti gli orologi che avevo,
anche la vecchia pendola,
almeno si fosse fermato il tempo,
che batte ancora col suo morto cuore,
spaventosamente.
Seppelliti i cadaveri dei ricordi,
uccisi i mobili del primo novecento
e i loro tarli, senza mai più bandire
lo sfrontato sole, salendo al piano
quarto della casa nuova
con un bell’ascensore,
mi porto il buio e quelle rampe
dentro. Non salgo, non scendo
e in questo doloroso passatempo
spreco infinitamente il tempo.
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