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Il sapore del sabato

By Poesia 3 Comments

 

Il sabato intenso di sigaretta

fin dal mattino più fumo,

noi a scuola lo stesso, a casa mio padre,

la mamma casalinga da sempre,

le labbra intense viola ciclamino,

marchiate (da donna, da madre,

da signora?) come volle il destino

e in mezzo, ma non sempre,

una briciola di tabacco che pende.

Serraglio e Camel mia madre fumava

e poi, poverina, ansimava

con gli occhi intensi di ghiaccio

intesi a sfidare l’altrui cedimento,

il suo, certo, no.

Mio padre, invece, non aveva la bocca.

Lui aveva baffi bizzarri. Di uno strano tono,

mimesi interessante della sua divisa

da fatica, verde bruna, di fante.

Lui fumava nazionali. Fedele, costante.

Un’intensa aura di divinità sovrastante.

Un guerriero, un cavaliere, un papà.

Niente di servile, all’orizzonte,

solo le sue verità.

Cavalcava una Vespa

colore dell’acqua marina

che fendeva volando guardinga

il ponte lungo del Centa,

col grappolo umano contento:

Il centauro, la figlia più grande

seduta, io in piedi davanti

a sperare, in attesa che un giorno

sarei stata l’amazzone in sella.

E tutto quello che doveva succedere

è già successo, adesso.

Brutta sensazione!

Ho preso quattro in ginnastica,

non so scalare la pertica,

sono brava in latino, sono brava papà.

La sorella sposa che se ne va.

Poi un girotondo sempre più teso,

dissonanze nel concerto grosso

che ci piaceva tanto, qualcosa di storto,

un violino furioso, un violoncello offensivo

e la tosse ostinata al mattino.

Non è più la stessa musica, mamma,

che la tua artrosi suonava penosa

e io a volte fingo, ma arrivo fino a Satie,

poi non mi piace più quasi niente…

Ma dove corre la tua mente, papà?

E dopo, catartici, agri a metà,

i lunghi anni di dolore e pietà.

 

Questioni d’età

By Poesia 2 Comments

Vorrei essere più vecchia,

almeno di dieci anni,

per creare sintonia

fra il corpo malandato

e l’altra me che vuol volare,

fra intrecci complicati

di rondini in amore

ed essere di nuovo

il giglio della sabbia

o la ginestra in fiore,

il gabbiano che si tuffa

dall’alto della roccia

o la sua preda furba,

quel pesce blu e d’argento

che riesce con un guizzo

a uscirgli fuor dal becco

e a inabissarsi ancora,

felice dell’abisso…

Se fossi Crono, il tempo

mi mangerei la Terra,

come un’anguria tonda,

tanto m’è caro il succo,

la dolce vita rossa,

che cola dalla bocca

di chi può amare ancora.

Ma sono questa mummia,

più giovane all’interno,

seduta sulla barca

che Ra, dio del tramonto,

conduce in fondo al mare.

 

Avatar scaduto

By Poesia 9 Comments

Quando sto male

io lo guardo e mi dico:

“Sarà ora di cambiare!”

Or è vent’anni

e sembra ieri…

Il mio avatar

è un fortunato scatto

in pieno controluce

ed è il ritratto vero

di un’ostinata grazia,

il permanere in me

di una bellezza

che non temeva gli anni.

Oh quanto fu vero!

Era la mia anima scura

di poeta con la piega amara

e le farfalle dentro il cuore

e nei piedi la voglia

disillusa di danzare.

Ora che, appesantita

(sempre più bianca

la mia faccia di luna,

gli occhi ancora belli,

ma col tramonto impresso

come un velo di bruma)

somiglio a una falena

polverosa, il mio volo

sfarinato fa rumore…

 

Autopsia di un desiderio

By Poesia No Comments

Colpa di chi, ì, ì

se sento quest’eco,

se penso a un bel sogno?

Volevo soltanto

una pausa ai miei giorni

e poi ritornare,

con gli occhi di mare

e la pelle dorata,

già pronta a espiare.

E adesso non so

se vorrò più partire,

gravata nel cuore

dai vostri presagi,

la schiena già curva

di danni e di anni

e le vostre radici

a farmi inciampare

sul sentiero del dubbio,

tortuoso e straniero.

Grazie, ma grazie,

amici solerti,

per cui la speranza

è fonte di danno!

Affidatemi dunque

a medici esperti

con l’autoptico ghigno

già chino sul cancro

dell’estremo sconforto

di chi è già morto dentro!

 

Nota: L’immagine che ho scelto per illustrare questa mia poesia è un acquerello di Riccardo Scarpellini, che mi è sembrato particolarmente adatto ad  esprimere lo sgomento di un’ anima tormentata.

 

 

 

Taccuino

By Poesia 3 Comments

Appunti di oggi:

Ritornare al Florian…

Il bello del viaggio,

specialmente a Venezia,

è il rimpianto precoce

che ti serra la gola

e vorresti tornare

prima d’esser partito.

E così, lì seduto,

con quel poco di tosse

per il troppo velluto,

te ne stai inebetito

e respiri la sera,

i lamenti di orchestra,

le canzoni d’amore,

il passare degli anni

e gli incerti ritorni.

L’illustrazione è una mia fotografia, uno scorcio di Venezia, rubato dall’interno dell’Hotel Splendid

Karlovy Vari

By Poesia 4 Comments

Bagnante alle terme

Vieni alle terme tesoro con me

voglio guarirti l’anima stanca

e lenirti coll’acqua gli affanni

lavar via le ferite degli anni,

i veleni del tempo, i pensieri

i ricordi più tristi, i tormenti,

i metalli pesanti del cuore.

Lascia il passato a Karlovy Vari

come un bagaglio dimenticato…

Sogno in lutto

By Poesia 5 Comments

vetrata fantastica bagnata

Stanotte sono stata

a un funerale

in una grande chiesa

dove non volevo andare

con musiche tremende

da strappare il cuore.

E poi ho visto un vecchio

che quasi non stava in piedi

per gli anni ed il dolore

e stringendogli la mano

ho sentito quanto grande

fosse stato quell’amore.

 

Un fiume grande

By Poesia No Comments

il dio del fiume

Mi manca il corso fluviale

di un fiume silenzioso e lento

tante grandi anse, senza batticuore,

un cammino calmo e certo,

senza mai pensare, per quant’è lontano,

al mare. Ora la vita, a dispetto degli anni,

che sono pesanti come massi affioranti

e così tanti che è meglio non pensare,

senza riguardo per niente, corre e salta

e va come un torrente e l’erosione del cuore

è sempre più evidente e la speranza,

questo l’ho imparato, sai?

non porta proprio a niente

se non al tragico incidente

che fonde acque dolci e amare

e che si chiama sfociare.

Esequie del mirabolano

By Poesia 11 Comments

esequie del mirabolano

L’altra notte il libeccio

ti ha preso, susino,

schiantandoti al suolo,

crudelissimo vento…

Il volo dei fiori

mi par di vederlo,

protendersi ancora

nel cielo azzurrino,

quasi cantasse

in un candido trillo

l’attesa dei frutti

e la gioia feconda.

Giacendo riverso

mi mostri i tuoi figli,

che mai cresceranno,

non più grandi di olive,

ma gravi nel peso

per tutti i tuoi anni

e le crepe e gli scavi

nel tronco rugoso.

Speranze senili,

mai più splenderanno

di oro e di sole

le tue mirabelle

e io piango, per te,

mio bel mirabolano,

e piango per me,

per tutti questi anni,

per il sapore d’estate,

così dolce e un po’ asprigno,

che non so se ritorna

e intanto lo spero.

Le mani

By Poesia No Comments

mano-rosa-erosa

Sai che mi ricordo ancora

di quello strano addio che non avvenne,

perché sette giorni dopo ritornasti?

Eppure ci rimasi molto male,

eravamo, amore, a Portofino,

là sul monte per guardare il mare

e quando mi parlavi così strano

promisi a me stessa di non telefonare,

né di cercarti mai e ti guardai le mani,

così per ricordarle, casomai…

tanto sottili e chiare, eppure forti e grandi,

e le carezze sparse, fragili farfalle…

Poi l’aria marzolina respirando,

un po’ primaverile, un po’ invernale,

decisi di affidarmi al mio destino,

sicura del nonsenso del lottare.

Se tornerà, mi dissi, sarà perché lo vuole.

Né baci, né promesse, né parole,

né tantomeno lacrime e sospiri,

attesi sette giorni ricamando

piccoli fiori all’ombra del rimpianto.

E ritornasti e son passati così tanti anni,

e siamo ancora e sempre insieme,

che se li conto mi spavento, ma va bene!

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