Quando ancora crescevano
la felce e il sempervivum
sul muro dei miei sogni
e il muschio antico,
suonava dei miei passi
nella vecchi piazza
il ritmo cadenzato lento,
misurato sul battito di cuore
e chiara la speranza nel mattino
splendeva più del sole
e sotto ai piedi la sentivo
l’acqua di montagna
incanalata che fuggiva
fino al lavatoio per sgorgare
e il sangue dentro al corpo
era così giovane e contento
che mi pareva di scoppiare
e se mi guardavi in viso
vedevi le mie labbra rosse
in lieve movimento per cantare
una splendida canzone di silenzio.
e ci giunge l’eco di quella splendida canzone…l’ultimo verso è chiusa “altissima” Bella, molto.
Grazie Franz, che belle parole!
meditate una per una, cara Silvia. 🙂
🙂
Un playback autoprodotto, quello che accenna ssussurrando. Molto dolce (e malinconica?).
Grazie per il tuo bel commento! Sì, è una poesia malinconica, così piena per me di nostalgia per i tempi e per i luoghi che, quando la rileggo., mi commuovo. Lacrime autoprodotte 🙂
Il solito, bellissimo, ricamo di parole…
Grazie Gigi, sei sempre gentile!
molto bella, a una prima lettura l’ho sottovalutata, poi mi sono reso conto che è senza tempo nel suo rievocare il tempo perduto
Grazie del tuo commento, che c’entra il mio pensiero; il tempo perduto nel passato è parte di noi, noi siamo quello che abbiamo vissuto.
Bellissima Silvia, ho provato una struggente e al tempo stesso dolce nostalgia per un passato che evidentemente abbiamo condiviso. Il rumore della roggia resterà sempre nei nostri cuori.
Grazie carissima Olivia, è bellissimo condividere certi ricordo!