Lo snodarsi virtuoso
fra la vita e la morte
del cammino assegnato
senza mai sostare
alla taverna dell’orco
per ballare e ballare…
La linda casetta,
il bucato e l’arrosto,
ogni cosa al suo posto
e una noia mortale.
Bisogna cambiare,
saltare nel fosso,
senza vestiti addosso,
rotolarsi nel fango
e cantare, cantare…
Vista nel contesto
di terremoti, tsunami,
crolli di ponti, inondazioni,
sai, la mia vita
non è poi così male,
ma scavandoci dentro,
se sei molto onesto,
dovrai convenire
che è un po’ troppo per me.
Qualche decagrammo,
se è questa l’unità ,
(ma dev’essere questa,
perché l’usava mia madre, )
qualche dag. in più di quanto
io possa sopportare
e ciò non è leale.
Come sono i sorrisi giusti
per nascondere il pianto?
Quanto mai costerebbero
se mi cadessero i denti
ogni volta che fingo?
Questi sono i miei i giorni
delle cause perse,
ma perse per davvero,
non tanto per dire
e ho male dappertutto
quando ho ragione
e non un cane
che me la da.
A ognuno il suo, tu dici,
a divina misura
delle sue capacità.
E andiamo pure avanti,
ma se non sai niente
e nemmeno mi ascolti,
non dirmi, mio caro,
quanto bene mi va!
Vengo con te fino in centro,
so che hai qualcosa da fare…
Io, nei miei giorni stracciati,
cerco appena di non morire.
Respirare soltanto non è
quel che chiamiamo vita,
ma io mi accontento,
è una sospensione del tempo
apparente, perché, mio caro,
sapessi come corrono le ore!
Così ci inoltreremo nella città
che mi assomiglia, una cancrena
di negozi aperti in tutta fretta
per mascherare la crisi,
i fallimenti, la decadenza,
la fine che in fondo al corso,
non ci son santi, ci aspetta,
ma per fortuna c’è il mare,
panacea universale…
Guarda, noi ridevamo
tenendoci per mano
sul viale della vita…
Ero così bambina
che, andando verso il lido,
io mi chiedevo sempre:
Ci sarà ancora il mare?
E non avevo torto,
di niente c’è certezza,
e tutto ha un suo valore
soltanto fin che dura…
Mi salvi ti salvo
un poco per uno
le nostre occasioni
di redenzione
o disperazione.
Qui siamo in due
e non ci son santi,
niente funerali
o canonizzazioni,
niente incenso
e benedizioni,
un solo miracolo
giorno per giorno
che dura una vita,
così silenzioso
e non apparente
che alla fine parrà
inesistente.
Pendono gli abiti asciutti
da questa mia rella nera,
che uso per il bucato,
dove impicco
bagnati i miei panni
così si sciupano meno.
Fosse così per la vita
che tu la lavi, la asciughi
e ritorna stirata e pulita!
Poi, quando il vento bastardo,
che ogni tanto investe
Livorno e il mio cuore,
fa correre sulle rotelle
lungo il terrazzo sul retro
l’appendiabiti intero
col suo carico addosso,
io penso alle giostre
di quand’ero bambina,
ai miei sogni sciupati,
alla mia anima a brandelli
e imploro devota il Libeccio
di farmi volare lontano…
Stamattina
non mi sono vestita
mi fa male la vita
coi suoi kigo
ricorrenti
e la fine che verrà,
come un haiku
perfetto:
Quel che è detto
è detto.
Nota dell’autore. Fornisco la mia chiave di lettura per questi “versi” che hanno dato il via a una discussione letteraria fra i miei lettori. La poesia è uno sfogo intimo, quasi un lamento, che mi è uscito dal cuore in un avvio di giornata non particolarmente felice. La vita, con l’immutabile alternarsi delle stagioni, scorre troppo veloce verso un’unica meta, la nostra fine, e non concede proroghe. Termini come kigo e haiku sono stati qui usati all’interno di una metafora, con cuore puro e senza nessun intendimento polemico.
Lunga lettera agli amici
di sempre, che poi sarebbe mai,
se guardo proprio bene,
senza parole, senza conforto,
senza andata, senza ritorno
pareti di silenzio per i miei
graffiti, più che muti, zittiti
e quest’orrenda cecità
per i miei sguardi disperati…
Come una capra affamata
cerco il sale, il sodio, della vita
e lecco lungo i muri della strada
disgustose indifferenti amenità,
insipidi marshmallows molli
di buonismi esasperati,
che trasudano pensieri positivi
d’inquietante e rosata falsità.
Miei signori, vi immaginate Dio,
affacciato al suo balcone
di beata eternità, che ci guarda
fra le stelle ed i pianeti
e decide per ognuno che farà?
Io non sono un fan di Vasco Rossi,
ma una cosa mi piace, che cantò:
“Siamo soli…” Vi saluto, scriverò.
Strano avere il cuore chiuso
a primavera e oppresso
come se non ci fosse più
colore. Invece tutto appare
pronto. Nelle schiarite in cielo
stride un viavai di rondini,
da qualche giorno almeno,
anche il mio corpo è sveglio
o ha smesso infine di tremare.
Eppure non mi adorna quel riflesso,
il tremulo chiarore della pace,
e la mia voce gracida nel vento
patetiche mimesi dell’amore,
vorrei ardere di trepide parole,
ma riesco appena ad essere
CORDIALE. E la mia fonte, sai,
così segreta, che abbeverava
te soltanto e la tua anima
assetata, io credo sia del tutto
inaridita e non esista più per noi
la chiara risorgiva aurata,
che il sole all’alba incoronava,
dell’acqua prodigiosa della vita.
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