Aspettavamo il tempo dell’Ofiuco,
favoleggiando sul tredicesimo mese.
Placidamente noiosa, la notte di Parigi
ci accoglieva, senza alleviarci il cuore,
né le belle cose che ci affannavamo a comperare
levavano il vuoto, la paura, il dolore.
Molto più tardi, centellinavamo il piacere
in sottili perlage di lussuria, come fosse champagne.
Piacevolmente, come fosse caviale,
masticavamo le perle dei nostri giorni francesi.
Ma neanche quell’anno, mon amour, amore,
per quanto ci ostinassimo a sognare,
riuscimmo a piegare l’ellissi del mondo
o la curva del tempo al nostro volere.
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