Sta per scoppiare, lo sento,
l’arteria dei miei sogni
e nessuno fermerà
l’emorragia di vita.
Un aneurisma silenzioso
mi lascerà svuotata
come un otre floscio
e non ci sarà bisogno
di pulire:
le speranze svaniscono
in un baluginio di stelle…
Nota: Per i tanti amici che mi seguono con affettuosa attenzione, specifico che questi versi si riferiscono a una mia seria emergenza di salute dell’anno scorso, completamente superata, grazie al tempestivo intervento dei medici e dovuta alle inattese conseguenze di un’apparentemente banale affezione stagionale. Scrissi questa poesia durante la convalescenza, in cui, dopo aver sfiorato le ovattate soglie del coma, ebbi tempo di riflettere su quanto sia fragile la condizione umana e quanto labili siano desideri, progetti, speranze.
Come stai come stai come stai?
te lo grido nell’orecchio
senza parlarti mai.
Non voglio che tu senta,
sappiamo che cos’hai…
Odio che tu stia male
odio il destino ingiusto
odio i sorrisi tristi
che corrono fra noi.
Almeno, se tu piangessi
io piangerei con te.
Primavera bonsai
gemmata di rimpianto
quando tu mi abbracci
e abbracci un’altra
per chiederle perdono
di una colpa
che non hai commesso.
Eppure forte a me ti stringo
e almeno un poco
rinverdisco…
Come una Matta
mi sono affacciata
alla finestra del destino
e ho spiato la sorte.
Una folata di vento
mi ha trafitto gli occhi
con le sabbie delle sirti
e non ho visto niente…
Quando l’universo
avrà finito il tempo
e il dio ritornerà perfetto
rientrando in se stesso
mi fonderò con te
come non hai provato,
fuoco nel fuoco
fuori, intorno e dentro
e il nulla avrà un suo senso
dopo.
Mobile cuore
nella semisfera chiara
fragile ostaggio
nell’etenità del cielo,
mobile cielo
di grandi nubi bianche
lente rotanti
in vertigine creativa,
mobili occhi
feriti dalla luce,
mobili onde
nel mormorio del mare
canto salato stanco,
pianto.
Aspettavamo il tempo dell’Ofiuco,
favoleggiando sul tredicesimo mese.
Placidamente noiosa, la notte di Parigi
ci accoglieva, senza alleviarci il cuore,
né le belle cose che ci affannavamo a comperare
levavano il vuoto, la paura, il dolore.
Molto più tardi, centellinavamo il piacere
in sottili perlage di lussuria, come fosse champagne.
Piacevolmente, come fosse caviale,
masticavamo le perle dei nostri giorni francesi.
Ma neanche quell’anno, mon amour, amore,
per quanto ci ostinassimo a sognare,
riuscimmo a piegare l’ellissi del mondo
o la curva del tempo al nostro volere.
Molto oltre le pagine del tempo
scriverò il libro che sarebbe stato
se io fossi rimasta ancora e tu
mi avessi amato. E violerò le sue
tenaci leggi, cancellerò il presente
inventerò futuro, richiamerò il passato.
E farò il gesto che avrebbe mosso il mondo
o l’universo, almeno il nostro
e stringerò, oltre il sognato sogno,
fra cento e più anni o già domani,
la tua diafana mano con le vene
che, tremante farfalla, cercherà la mia
in fuga da un millennio o poco meno…
Il mio corpo
non può dare ancora molto
e a Lanzarote morirò.
Amami adesso
anche se fa caldo.
Grilli zanzare afa sonno dolore.
Accendi ancora
la mia stella cadente
nel silenzio interrotto
della notte d’agosto.
Copri il mio corpo
con le ali fresche dell’amore.
Grilli zanzare afa sonno morte.
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