Che cosa faccio, io,
davanti a questo specchio?
Esisto? Quando? Quanto?
E io, chi sono?
Io sono quel che vedo
adesso. E il passato?
E il futuro?
Se finisce il riflesso
a cosa serve lo specchio?
Che cosa faccio, io,
davanti a questo specchio?
Esisto? Quando? Quanto?
E io, chi sono?
Io sono quel che vedo
adesso. E il passato?
E il futuro?
Se finisce il riflesso
a cosa serve lo specchio?
Queste ore di sonno
strappate al mattino
nell’amorevole curva
del tuo braccio
come un bambino…
Non so se finirò questa notte
troppi fantasmi mi vengono a trovare…
L’ossessione del pianoforte
quattro note quattro quarti
per un accordo maggiore
e sopra il miagolio del dolore
i suoi trilli disperati
i sospiri della morte.
Svegliati amore e sposa la mia anima
prima che il respiro del sonno la possieda
pettinami i capelli neri di paura
con i violini delle tue dita esperte
ferma questa grottesca marcia nuziale
sfatta di putrefazione ed ossa sparse
che mi fa esplodere la testa
posami le mani fresche sulle tempie
riscatta il mio respiro prigioniero
bacia la mia vita, falla ritornare…
Perché non dormo?
Mi manchi.
Mi manca l’approdo
all’isola del sonno.
Erano le tue bianche
braccia fra le nebbie
a sostenere il mio corpo
quasi annegato, stanco.
Dalle fatiche d’amore
stremato.
Cammina
ma è come se stesse
in ginocchio.
Sale le scale
e la sua anima striscia
come l’ombra
sul muro.
Sente il vuoto dentro,
eppure gli pesa
portarselo dietro.
Il suo tempo si sbriciola
come le ossa di un vecchio
e ne prova un dolore
Nemmeno l’amore
lo consola
e la vita vola…
Non è stato possibile restare.
Estirpata, ho pianto tanto.
Raccolti nel prato del dolore
pezzi di radice in qualche modo
vivi e ancora in grado di nutrire,
da allora porto nel mio cuore
e camminando sulle mie ferite
sogno a volte di tornare…
Ho visto lottare in volo
aironi e gabbiani, ieri.
Belli, alteri, grandi volatori,
crudeli, fieri. Così pronti
a ferire a morte con la morte
la serenità dei cieli.
C’è un vento tremendo, amore
che smentisce il sole.
Che sia caldo non importa,
frusta i ricordi, pungola il cuore.
Quante volte ho dormito
come un agnello mansueto
fra i tuoi zoccoli insonni
di stallone irrequieto?
Se si aprisse il recinto,
resa folle anch’io
dal fiato della vita
che, benché tardiva,
ancora spira,
fuggirei ventre a terra
oltre al verde dei prati,
oltre all’azzurro del cielo,
fino alle frange del tempo,
nubi bianche gelate,
appese all’orizzonte estremo.
O giornalista o ballerina…
ma che capivo
io di me? Non so.
Ero soltanto
una bambina.
Questi versi per parlare un po’ di me. La danzatrice è una mia operina di arte effimera, creata con un pizzico di zucchero e l’aiuto del mio dito indice sul tavolo di cucina, bevendo il primo caffè del mattino.
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