Voglio portare
tutti i sogni
in questa stanza
e riempirla
fino a farla scoppiare.
E poi dare fuoco,
e intorno al rogo
urlare, danzare.
Voglio ucciderli io
e guardarli morire.
Voglio portare
tutti i sogni
in questa stanza
e riempirla
fino a farla scoppiare.
E poi dare fuoco,
e intorno al rogo
urlare, danzare.
Voglio ucciderli io
e guardarli morire.
Mare vinoso mare,
diceva bene Omero,
quel vino spesso e brusco
che poi non vedi il fondo
e affoghi nel bicchiere.
Bere vorrei il colore,
quando io penso al blu
e invece è quasi nero
col porpora e coll’oro.
Chissà com’è il sapore…
Di sangue, vita e amore
e questa ostinazione
del nascere e morire
…Intanto si fa sera.
Voglio dipingere
un’aurora infuocata astratta
com’è dentro il mio cuore,
colante lava densa scura
sulla vena fusa del dolore
ed il suo vano andare
verso il seno amaro grande
e il mugghiar del mare.
Gloria e rovina e amore,
rocce in autocombustione,
lembi di cielo nero e oro,
trionfo ed abiezione,
una pianeta viola stesa
in aria, gran celebrazione,
morte, oblio, resurrezione.
Brividi di brina
pennellati sul prato
e un vento freddo
che disegna il fiato…
Amami d’inverno,
eterna mia bambina,
la nostra primavera
ancor non è finita!
Cielo scuro a oriente,
scuro malgrado noi…
Come gabbiani in volo
fendiamo questa vita
con lembi d’alba addosso
e battiti del cuore.
Dove vorresti andare
per perderti con me?
La casa non ci basta,
dolce confino ai sogni,
né il mare di città.
Non voglio più parlare
a gente senza nome
tanto per non morire
con le parole in gola
e quel tormento dolce
che aumenta con le ore,
quando la sera aspetto
perché finisca il giorno
e poi la maledico
perché mi accorcia ancora
il tempo che mi resta,
non voglio più provare.
Forse direbbe il saggio,
che ancora non conosco:
“E allora fai qualcosa!”
E tu che cosa pensi,
tu con gli occhietti scuri,
che mi saltelli attorno,
vorresti tu volare
lontano, ma lontano,
ai limiti del giorno,
vorresti tu trovare
quelle ore tinte in rosso
di cui hai pieno il cuore?
Con l’orecchio destro sento
stridere le rondini in cielo
mentre il sinistro registra
correttamente il clangore
della caldaia condominiale.
Benvenuta sia la sordità
del mio muco influenzale!
Ho inventato un profeta
e l’ho messo per iscritto:
È un dismorfico diplope
cui l’occhio destro
ceruleo ammicca e ride ,
mentre il sinistro piange
e a volte butta sangue.
Non gli somiglia forse
Il timido poeta
che se ne sta in disparte
e sempre si lamenta
d’amori e di tormenti
e intanto balla e canta
sull’onda dei suoi sogni
e dei più bei ricordi?
Governa la barchetta
di carta pieghettata,
sul fiume chiaro e scuro
che noi chiamiamo vita
va verso la cascata.
Questo tramonto
mi cavalca il cuore,
amazzone selvaggia
mi calpesta di rosso,
scintille, lapilli, fulgore
di fuoco. Riarsa mi cerco.
Chi se non io
può placarmi l’ardore?
Dentro è così violento…
Fuori la sera,
la carità del vento,
poi la notte nera.